sabato 14 novembre 2009

Siamo tutti crocifessi



L’Italia odierna è una betoniera incontrollabile di fatti e vicende che si susseguono con velocità tale che seguire una questione senza essere invasi da input riguardanti altri aspetti appare quasi impossibile.
In politica, appena finite le urla per la bocciatura del lodo Alfano, si ricomincia a gridare allo scandalo in vista della presentazione in Parlamento di un ddl accorcia-processi, creato a uso e consumo del premier e che vedrà moltissimi processi cadere in prescrizione con relative lamentele (giustificate del resto) delle vittime di eventuali reati civili come corruzione o falsa testimonianza.
Stranamente però non sono qui per parlarvi di politica, bensì per tirare fuori dal cilindro un episodio di cronaca italiana e internazionale che fino a qualche giorno fa affollava le prime pagine dei quotidiani e che ora sembra esser stato dimenticato, sempre perché la coerenza è un atteggiamento ormai obsoleto nel politico italiano medio. Se ne parla finché fa comodo, poi appena c’è altro da fare si chiude una porta e se ne apre un'altra, senza aver comunque risolto il problema precedente.
Poco più di una settimana fa dalla Corte europea arriva una sentenza riguardante la presenza o meno del crocifisso nelle aule scolastiche. Viviamo in Italia, abbiamo il Papa e il Vaticano dentro il nostro territorio e non possiamo esimerci dal condannare ogni minima azione che possa scalfire l’importanza del Cristianesimo nella nostra società. Come se Cristo fosse una ‘cosa nostra’ e l’Italia deve difenderlo incondizionatamente come patrimonio nazionale. Sono sicuro, storicamente parlando, che la Spagna e l’Inghilterra hanno le nostre stesse radici culturali ed è innegabile che la morale cristiana dell’uguaglianza e della fratellanza ha ormai sorpassato la barriera prettamente religiosa entrando a far parte di una morale comune che non prescinde dal credo spirituale.
Eppure non troverete mai un crocifisso nelle aule delle scuole inglesi, né tantomeno negli uffici pubblici. Lì nessuno si indigna, lì non si aizzano polemiche distruttive, lì non c’è un qualsiasi La Russa che a La Vita In Diretta dice “Devono morire tutti” riferendosi a quegli sporchi atei che hanno il coraggio di denigrare e declassare il crocifisso.
La differenza sta nel ruolo che si concede alla religione in ogni singolo Paese. E’ ogni giorno davanti agli occhi di tutti gli ascoltatori di media intelligenza che la Chiesa in Italia si arreca un diritto di esercizio che sfocia anche nella politica. Bioetica, leggi sulla fecondazione assistita, trapianto degli organi, testamento biologico, aborto. Sono argomenti che riguardano le persone intese come esseri viventi in quanto ne tangono la sensibilità oltre che la quotidianità e la fisicità, non la persona intesa come essere spirituale appartenente ad una collettività minoritaria unita da un credo comune.

La Chiesa fa religione e rimane entro i confini della trascendenza delle sue leggi.
La legge giuridica è altra cosa.
Partendo da questo presupposto, l’articolo 3 della Costituzione italiana dice che lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi del 1929, successivamente modificati nel 1984 da Craxi. All’interno degli articoli della Carta Costituzionale non vi è nessun riferimento alla religione cristiana come religione ufficiale e ‘di Stato’. Indi vale il principio supremo di laicità dello Stato che non invita nessun individuo o nessun ente a esporre simboli religiosi cristiani obbligandolo all’osservanza di tale regola. Per quanto riguarda il crocifisso nelle aule, c’è solamente un Regio Decreto del 1928 (molto attuale direi…) che dispone l’arredamento scolastico. Tra la lavagna, i banchi, le sedie, il gesso e il cancellino c’è anche il crocifisso. Ovviamente assieme al classico planisfero politico. Il regio decreto non costituisce legge, ma piuttosto una regolamentazione la cui violazione non è perseguibile. Insomma ognuno fa come gli pare ed è giusto che sia così.

Sono contro l’esposizione di simboli religiosi nei luoghi delle istituzioni pubbliche come scuole, poste, uffici comunali eccetera. Può essere considerato come un simbolo culturale che ricorda valori di uguaglianza che forse la religione cristiana ha introdotto nella società prima di tutte. Ora però, come detto prima, tali valori sono fuoriusciti dalla simbologia religiosa e fanno parte di ogni cultura, quasi come fossero imperativi categorici kantiani alla base dell’educazione. Che senso ha manifestare apertamente l’appartenenza ad una religione quando non ce n’è bisogno? A casa chiunque può avere la sua copia della Bibbia o del Vangelo, i suoi 2 o 3 crocifissi e il suo libro di preghiere. Fuori dalla sfera privata non credo che serva. La religione è un fatto personale.

La cosa che mi arreca più fastidio in questa faccenda è l’ipocrisia e l’opportunismo del mondo politico che si ricorda le presunte radici cristiane solo quando succedono cose del genere, solo quando una sentenza fa tremare i muri e cadere i crocifissi.
Il falso buonismo di certi personaggi è talmente ipocrita da fare schifo.

Il dibattito è su grande scala, in politica e negli ambienti ecclesiastici. Ci si interroga sui crocifissi nelle aule scolastiche e ad interrogarsene sono coloro che la scuola non la vivono più, che non sono giovani da un pezzo e che condividono l’usanza italica di imporre l’appartenenza ad un credo religioso fin dalla più tenera età.

Che dite, lo facciamo un referendum in cui possono votare solo gli STUDENTI dai licei alle università? La questione riguarda loro e loro dovrebbero decidere.
Il meglio sarebbe lasciare che ogni classe decida per sé, senza obblighi idioti.

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